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La trappola del Samaritano

20.10.2012 22:51

 

Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede al locandiere, dicendo: «Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno». (Luca 10,25-37)

 

Al ritorno, il samaritano non trovò più l'uomo soccorso alla locanda, ma il locandiere gli chiede 20 denari per le spese. Il samaritano sospirò per il sacrificio, ma non protestò in alcun modo. Si fermò a pernottare, e l'indomani usci dalla locanda per partire per i suoi viaggi commerciali, ma venne fermato dall'uomo soccorso, il quale lo riempì di ringraziamenti. Dopo le dovute cordialità, il samaritano si accommiatò, ma l'uomo lo implorò di fargli l'elemosina, perchè sarebbe stato assurdo salvarlo dalla rapina per lasciarlo morire di fame. Il samaritano ne convenne, e diede a quell'uomo altri due denari. Quello lo ringraziò profusamente. Il samaritano finalmente potè partire, sperando di rifarsi delle perdite con i primi affari. Ma il giorno dopo trovò quell'uomo che lo stava seguendo, spiegando di essere senza risorse in quel luogo, essendo straniero e inviso agli abitanti. Così il buon samaritano prese con sè quell'uomo, e divise con lui i pasti, i vestiti e il giaciglio, ricevendo molti ringraziamenti. Tuttavia il lavoro non procedeva bene, perchè la compagnia di quell'uomo lo ostacolava nei contatti commerciali, e lo dissanguava finanziariamente. Alla fine il buon samaritano si trovò rovinato, e tutto il sentimento di dedizione gratuita al prossimo che prima nutriva, venne sostituito dal rammarico e dal risentimento. Così cominciò a trattar male il suo beneficiario, e finì per cacciarlo in malo modo. E tutta la santità che pensava di aver ottenuto, svanì nello stato di necessità.

 

L'immaginifico e provocatorio finale della parabola dimostra che per aiutare gli altri occorre essere organizzati, e avere un approccio professionale, perchè ogni tentativo dilettantesco, ogni coinvolgimento affettivo verso chi ha veramente bisogno, porta ad esiti problematici.  Il bisogno di chi è povero è incolmabile, un pozzo senza fondo. Perchè deriva fondamentalmente dall'incapacità di organizzarsi la vita in modo costruttivo e razionale, difficilmente correggibile.

 

Con questo non voglio dire assolutamente che non bisogna amare il proprio prossimo, e che non bisogna aiutare chi ci chiede aiuto. Bisogna farlo, senza pubblicità, con assoluta gratuità, e con lucido distacco affettivo. Amare le persone è diverso dal provare pietà. Amare gli altri non è un sentimento istintivo, è un atto di volontà coniugato con una chiara razionalità. Per aiutare occorre evitare di essere risucchiati in un vortice di richieste che ci indurrebbe ad favorire solo alcuni, penalizzandone altri, e in primis noi stessi.

 

Per garantire la disponibilità di un pubblico soccorso, occorre salvaguardare il Samaritano che è in ognuno di noi.

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