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Italiani!

21.01.2012 10:40

Le vicende recenti del difficile rapporto con l'Unione Europea per la crisi economica italiana, e la polemica con i tedeschi sulla faciloneria - per non dir peggio - della gestione del naufragio all'isola del Giglio, hanno stimolato in me e in altri la riflessione su cosa significhi essere italiani.

Io ho da sempre una percezione di finzione retorica sul concetto di italianità. A differenza dell'identità culturale francese, spagnola, o inglese, quella italiana mi è sempre apparsa critica perchè nasce in una maniera forzata da processi storici recenti: gli abitanti della penisola sono quasi sempre stati frammentati in identità culturali - prima che politiche - ben distanti. Sono stati unificati dai romani con guerre sanguinose nel II secolo avanti Cristo, e si sono nuovamente separati 7 secoli dopo per l'invasione barbarica dei longobardi; e di lì dovranno passare altri 13 secoli prima che una dinastia locale riesca ad invadere con le armi la penisola unificandola forzosamente, ed imponendo l'uso alle popolazioni della lingua italiana che esisteva solo nello stretto cerchio di una borghesia acculturata. Quindi abbiamo un'esperienza di un secolo e mezzo di unificazione, in cui sono ben chiare le differenti aspirazioni delle popolazioni dello stivale: ci sono aree in cui non c'è alcun interesse all'identità nazionale, ma anzi una certa insofferenza come in Valle d'Aosta o in Alto Adige. Altre, in verde nella mia cartina, che si identificano come polo economico e culturale tra loro, ma non con quelle più in basso, a partire dal Lazio. Le popolazioni centrali che hanno una loro retorica nazionale, basata sulla finzione del sostegno di tutto il resto della penisola e sull'eredità della storia romana. Quelle in rosso, che rivendicano una italianità particolare, emulativa, parassitaria. Qui nascono e proliferano i poteri antistatali, le istituzioni dominate da poteri occulti, ogni paradosso economico, una vita a ritmi più lenti, il gigantismo dell'apparato pubblico. E' stato più facile fare l'Italia, che fare gli Italiani.

Se non ho esagerato troppo le differenze, si capisce perchè gli italiani siano la popolazione che rispetto alle altre ha meno identità nazionale. Molto meno dei francesi e degli inglesi, infinitamente meno degli statunitensi.

Eppure la finzione retorica continua, pompata da quella classe politica che ha tutto l'interesse nel rivendicare l'italianità per coagulare potere e soldi.

Il mio dubbio nasce anche sul piano etico, e al di là della situazione italiana: mi domando cioè se abbia un senso la rivendicazione nazionalistica. E se le etichette nazionali aiutino ancora a comprendere le persone. E se non sia venuto il momento di  mettere da parte questi concetti per apprezzare di più l'uguaglianza tra le persone di tutto il mondo.

Tutti meritano rispetto. Nessuno è migliore di altri. Pensare che un francese sia meglio di un italiano è razzismo. Come pensare che un italiano sia meglio di un marocchino. Non contano le etichette, ma le persone. Ci sono italiani chiassoni, donnaioli, faciloni e corrotti, ma se questa è l'immagine che di noi ha il mondo dobbiamo rivendicare la diversità. In Italia, come dappertutto, non siamo tutti della stessa indole. Non tutti gli americani sono ubriaconi, non tutti i tedeschi esagerano con la birra, nè tutti i russi con la vodka.

Lo stereotipo non spiega, è una finzione. Chi ha amici in tutto il mondo percepisce l'unità tra persone di diverse culture che amano gli stessi valori. Chi ama l'ecologia. Chi l'igiene. Chi la serietà nel lavoro. Chi la solidarietà verso chi è più sfortunato. Chi si batte per la pace. Questa è la vera nazione, non quelle politiche. La nazione degli uomini di buona volontà.

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